MICHAEL JACKSON

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Era una sera di novembre del 1987 ed entrai al New Sinfony, il negozio di musica della galleria del corso, accompagnato da mia madre.

 
Avevo dodici anni e stavo per comprare il mio primo disco. C’erano diversi candidati: i principali erano i 45 giri di “Who’s that girl” di Madonna, di cui avevo appena visto il celebre concerto di Torino e “Bad” di Michael Jackson, che andava alla grande in radio, in discoteca e – soprattutto – su “Deejay television”, il programma di Italia 1 ideato da Claudio Cecchetto in cui si era appena affacciato un nuovo, giovanissimo conduttore chiamato Jovanotti.
 
Alla fine la spuntò “Bad”, ma – inaspetttamente – non il 45 giri ma l’album, il 33 giri. Chissà perché quella scelta: in fondo, anche se avevo sentito parlare di I just can’t stop loving you del disco conoscevo solo la canzone che gli dava il titolo. Il duetto amoroso aveva anticipato l’uscita dell’album qualche mese prima, quando io ero ancora troppo piccolo per ascoltare musica pop.
Pochi mesi prima, io, ero ancora alla sigla del “Tulipano nero” e a “Fivelandia”.
13 anni
Lo ammetto: ero un adolescente piuttosto sfigato. I compagni mi prendevano in giro, ed ero sempre l’ultimo ad essere le scelto per una partita di qualsiasi sport. Non ero brutto, ma con le ragazze proprio non ci sapevo fare e il mio ultimo amore (che era anche il primo) era finito che avevo dieci anni…
…in quel periodo ero innamorato di una mia compagna di catechismo, Federica Caneva, con la quale il massimo dialogo che ebbi fu: “Ma quel tuo compagno di si chiama proprio ‘Serghey?’” (lei), “Sì” (io).
 
Non è che fossi un tipo introverso, anzi, mi è sempre piaciuto fare il buffone, sin da bambino. Però ero – come dire – irrimediabilmente anticonformista. Mi rifiutavo di adeguarmi agli altri, dovevo sempre distinguermi: rifiutavo i vestiti firmati, il motorino, le battutacce, non ci provavo con le ragazzine. Insomma me ne stavo da parte a fare lo sfigato, finché non trovavo un modo originale e personalissimo di mettermi in mostra e farmi ammirare. Che spesso, consisteva nell’autoironia.
Come ogni sfigato che si rispetti, venivo emarginato e deriso dai compagni. La differenza tra me e gli altri sfigati, era che gli altri reagivano cercando in ogni modo di farsi accettare (di solito conformandosi negli atteggiamenti e nel pensiero stesso) oppure si chiudevano in sé stessi.
Io, invece, mi prendevo in giro da solo: gli dimostravo che ero molto più bravo io a far ridere di me di quanto non lo fossero loro… insomma, facevo il comico.
In quel periodo il mio passatempo preferito era scrivere racconti umoristici e freddure incentrate su fascisti e comunisti ispirate alla comicità surreale di Nino Frassica.
 
Chiamatemi John Travolta
Con Michael Jackson cominciai a ballare. Da solo, in sala, quando i miei erano a lavoro, osservando i movimenti riprodotti dentro la copertina di “Bad” e poi i videoclip, le esibizioni live trasmesse da “Deejay television” e “Videomusic”.
 
La musica di Michael mi scatenava. “Bad”, “Smooth Criminal”, “The Way you make me feel”, “Speed Demon”… mentre cominciavo ad apprezzare tutte le canzoni dell’album non riuscivo a tenermi fermo…
 
La danza divenne una delle mie passioni più grandi. Gli amici che mi vedevano alle feste cominciarono a chiamarmi “JohnTravolta”, anche se presto scoprii che come ballerino non avevo futuro. Ogni volta che c’era una festa, infatti, appena partiva qualche canzone di Michael Jackson io nel giro di cinque minuti finivo al centro dell’attenzione. E tutte le ragazze volevano ballare con me. Nessuna ci riusciva, però. O meglio, ero io che non ci riuscivo: perché la mia era una danza istintiva, anarchica, improvvisata e non ci riuscivo a ballare in coppia, così come – anni dopo – non sarei riuscito ad imparare, nonostante la passione, nemmeno un movimento di Funk mentre mio fratello, che era una scopa se lo mettevi in pista durante una festa, ma aveva metodo, pazienza e una grande capacità di apprendimento, sarebbe finito a fare spettacoli e serate in giro per l’Italia…
 
Poster
A Natale qualche zia mi regalò una cassetta registrata di “Thriller”, il disco più venduto di tutti i tempi. Era uscito appena quattro anni prima, ma quattro anni prima io avevo otto anni, e per me quella era Storia da studiare sui libri e sui ritagli di giornali, di cui non avevo quasi nessun ricordo personale.
Il percorso a ritroso nella discografia di Mike, però, iniziò subito. Nell’arco di un anno l’avevo completata: “Off the Wall” (che in seguito avrebbe ispirato un racconto a cui tengo ancora oggi moltissimo), “Thriller”, e poi il “Jacksons Live”, l’antologia “Michael Jackson Mix” e altre rarità, oltre ai 45 giri – quasi tutti – di “Bad”, le cassette, le videocassette più o meno taroccate, il "Making" di Thriller noleggiato in videoteca e doppiatomi da zio Mauro tra i cui dischi, una volta che era fuori per lavoro, avevo scovato e sequestrato il preziosissimo 45 giri di "The Girl in Mine" in coppia con Paul McCartney…
la mia cameretta si riempì di poster di Michael Jackson. E ci sono rimasti per anni. Una gigantografia a grandezza naturale è "crollata" naturalmente, credo, nel 1999, mentre il manifesto di Moonwalker è ancora lì, appeso al muro nella mia vecchia camera a casa dei miei.
Il mito assoluto
 
Quando a maggio Michael Jackson venne per la prima volta a cantare in Italia io ero già un fan TOTALE. Conoscevo tutta la sua storia, dalla nascita in Indiana il 29 agosto del 1958 figlio di Joseph e Kate, settimo di nove fratelli che comprendevano Maureen, La Toya, Jermaine, Jackie, Tito, Marlon, e i due più piccoli Randy e Janet, fino alla lavorazione del suo primo film, il leggendario “Moonwalker” appunto, con Joe Pesci e tanti effetti speciali.
Avevo letto la sua autobiografia, sia nelle anticipazioni pubblicate dai giornali sia appena uscita pubblicata da Sperling & Kupfer.
 
Non era più solo un cantante, per me, Michael Jackson. Era già un mito. Un mito intoccabile. Fantasticavo sulla sua leggendaria tenuta di Encino, invidiavo i suoi “amichetti” bambini prodigio come era stato lui, recuperavo vecchie insospettabili riviste sparse per casa dove ritrovavo articoli su di lui, seguivo le sue amicizie con Reagan, Frank Sinatra e Fred Astaire, le sue amicizie "materne" con Diana Ross e Liz Taylor, e le storie d’amore (caste) con Tatum O’ Neal, Brooke Shilds e Tatiana Tumbzuden, la ragazza del video di The way you make me feel (e io sognavo di farne un remake ai giardini del Cardeto con Federica Caneva) ammiravo la cura con cui trasformava un video in un vero e proprio film, come aveva fatto cno “Thriller” (affidato a John Landis) e “Bad” (diretto da Martin Scorsese, che in quel periodo aveva appena fatto lo scandaloso L’ultima tentazione di Cristo).
 
Antonella
Il primo libro su Michael me lo aveva regalato Antonella Alpini, la ragazza che mi faceva ripetizioni di inglese e che divenne una delle mie più care amiche, anche se lei – mi disse – preferiva Sting. Aveva undici anni più di me, e si ricordava ancora quando in discoteca si ballava “Don’t stop til you get enough”, il primo grande successo di Michael, del 1979.
Mi aveva tradotto tutti i testi di “Bad”, Antonella, facendomi scoprire che le canzoni di Jacko, oltre che belle, erano anche intelligenti e avevano un messaggio, e mi spiegò anche che il soprannome di Michael Jackson era Jacko Wako.
Fu lei a rivelarmi che la celebre We are the world, cantata da tutte le più grandi star americane (da Paul Simon a Ray Charles, da Diana Ross a Cindy Lauper, fino a Bob Dylan e Bruce Springsteen) era stata scritta proprio da Michael.
E fu lei a spiegarmi che se Michael era ancora vergine a trent’anni, anche Brooke Shilds lo era, ma per contratto…
Un giorno Antonella partì per Parigi, per uno stage o qualcosa del genere. Si era laureata in lingue e doveva perfezionare il francese, credo. Avrebbe lavorato in Francia qualche mese e poi sarebbe tornata.
Piansi il giorno che mi venne a salutare e l’abbracciai forte. “Ci vediamo a Pasqua ” mi disse.
Non l’ho più vista, da quel giorno.
Per anni l’ho aspettata. L’ho anche sognata tante volte. E ogni volta che mia madre mi diceva: “C’è una sorpresa! Indovina chi c’è?” io mi aspettavo di vederla sbucare fuori e cominciavo a gioire.
Invece non è più tornata.
Barbara e il concerto del 23 maggio 1988 e gli odiatissimi U2
 
Leggevo il libro su Jacko che mi aveva regalato Antonella, la sera in cui vidi per la prima volta Barbara, la mia cuginetta appena nata: era il 4 marzo 1988. Due mesi dopo sarebbe arrivato Michael.
Fu forse l’evento più atteso della mia adolescenza: 23 maggio 1988. E lo confesso, per anni ho ricordato il compleanno di mio padre solo perché era il giorno prima di quella data, scolpita per sempre nella mia memoria.
Nessuno mi avrebbe portato a quel concerto, lo sapevo. La speranza è che lo facessero in televisione, come quello di Madonna. “Ma fino all’ultimo non lo saprai – mi disse Antonella – perché se dicono che lo fanno in Tv poi la gente non ci va, quindi semmai lo diranno uno o due giorni prima”.
 
Non l’hanno detto. E non l’hanno fatto.
 
Quel concerto – Roma, Stadio Flaminio, 23 maggio 1988 – è rimasto sempre nella mia immaginazione. E non l’ho mai potuto vedere. Mi sono dovuto accontentare dei reportage dei telegiornali, di qualche frammento sparso qua e là. Dei videoclip – come “Another part of me” – tratti da quella tournée.
 
Ma fu un evento vero. Ricordo bene lo special di “Deejay television” condotto da Jovanotti, e quello di Red Ronnie in cui aveva intervistato il manager Frank Di Leo, e poi era andato per strada a chiedere alla gente se conosceva Michael Jackson per verificare se era davvero il cantante più famoso al mondo…
 
Era l’anno di “The Miracle” dei Queen, di “Big Thing” dei Duran Duran, ma – soprattutto – di “Ratte & Hum” degli U2. E, lo confesso, io li odiavo gli U2. Li odiavo perché erano gli unici – in quel periodo – capaci di far davvero concorrenza a Michael. Madonna era troppo frivola, i Duran Duran erano finiti, quello stronzo di Boy Gorge un fenomeno passeggero, Paul McCartney aveva fatto il suo tempo, i Queen e Sting troppo di nicchia, per non parlare di Bruce Springsteen o i Pink Floyd.
Gli U2, invece, con il loro film avevano stracciato “Moonwalker” e questo a Bono e compagni non glielo potevo perdonare.
Chi lo avrebbe detto, a quei tempi, che dieci anni dopo proprio gli U2 sarebbero diventati il mio “mito definitivo”…
 
Un modello grandioso e sfigato, un mito incondizionato
Ci sto provando, a spiegare cosa ha rappresentato Michael Jackson per i miei tredici anni. Ma non è facile.
 
Michael divenne un mito assoluto. Un modello totale. Lo veneravo incondizionatamente, in ogni lato del suo carattere e della sua personalità.
 
E come avrei potuto fare altrimenti? Avevamo troppe cose in comune!
 
Che dire, ad esempio, quando scoprii che il suo regista preferito era Steven Spielberg e il suo film della vita “E.T.”?
 
Certo, per me che avevo 7 anni quando uscì, era facile identificarmi con Elliot, ma il fatto che si fosse appassionato così tanto al film un ragazzo di 24 anni, forse, avrebbe potuto far pensare…
 
Io, a quei tempi, ero un ragazzino piuttosto bigotto. Michael era religioso. Sì, è vero che non ha mai ben capito nemmeno lui a quale religione appartenesse, ma l’importante è che fosse un uomo con una certa spiritualità. E pazienza se allora si definiva Testimone di Geova.
Michael, nel film "The Wiz", musical ispirato al Mago di Oz, aveva fatto lo spaevantapasseri. Proprio come me, nell’adorata recita scolastica di quinta elementare.
 
E poi era un verginello. E qui che casca l’asino: quale migliore modello per adolescente che – a differenza dei suoi compagni – la verginità non aveva intenzione di perderla ancora per un bel pezzo?
 
Ebbene cari ragazzi, questi modelli possono essere molto pericolosi!
 
E poi Michael rappresentava l’opposto dello stereotipo della rockstar, e per un anticonformista come me non poteva che essere il modello ideale.
 
Asociale, disperatamente solo, legatissimo all’infanzia (un infanzia perduta, come quella di tutti i bambini prodigio, che – non a caso – difficilmente fanno una bella fine), e al tempo stesso geniale, egocentrico, megalomane.
 
In Michael io, un tredicenne che viveva di ricordi e venerava il suo passato, non potevo non specchiarmi, in quell’infanzia vista come l’Eden perduto, in quell’estraneità totale rispetto al resto del mondo, e in quel bisogno – al tempo stesso – di imporsi sul mondo, di essere ammirato fino all’estremo, in quella sete di amore vissuto non nei normali rapporti affettivi ma in una forma di idolatria e autoidolatria io vedevo il ragazzo che ero e l’uomo che avrei voluto diventare…
 
La adoravo, quel 29enne dall’apparenza di un alieno, quella rockstar che non scopava e non si drogava ma in compenso si riempiva di plastiche facciali. Plastiche che io, seguendo la linea “ufficiale” di Michael, mi ostinavo a negare.
 
“Non è vero che si sta sbiancando la faccia, è un effetto fotografico, lui si è fatto solo tre plastiche al naso…”.
 
E la camera iperbarica in cui dormiva per vivere fino a 120 anni? E le ossa dell’uomo elefante che aveva acquistato per non si da quante migliaia di dollari?
 
Tutte fandonie. O forse no. Ma non era l’importante, l’importante era la capacità di Michael di ironizzarci sopra, come aveva fatto nel videoclip di “Leave me alone” (inserito dentro “Moonwalker”, che – comunque – non ebbi mai il coraggio di definire un bel film).
 
Michael era un mito incondizionato, da difendere ad oltranza contro qualsiasi critica.
 
Fondai persino una rivista, quell’anno, chiamata Il giornale di Michael Jackson che però pubblicò un solo numero, ciclostilato in proprio, come si dice. Era troppo impegnativa per portarla avanti…
e poi mi feci crescere i capelli lunghi, perché volevo averli come lui. Imparai quasi tutte le mosse di "Billie Jean" e le rifeci persino in una scena del mio film "The Shit". Iniziai a portare le t-shirt bianche con sopra le camicie colorate aperte perché lui le portava così nei video di "The way you make me feel", "Come together", "Dirty Diana" e "Black or white". E ovviamente mi comprai un "chiodo" da metallaro e a carnevale di mascherai da Smooth Criminal…
 
“Bad” fu uno degli album di più grande successo nella storia del pop. Tenne banco per due anni: basti pensare che il primo singolo uscì nell’estate del 1987 e l’ultimo nell’estate del 1989: il mitico “Liberian Girl” nel cui videoclip comparivano, tra gli altri, Steven Spielberg, Dan Aykroyd, Lou Ferrigno (quello di “Hulk”), Richard Dreyfuss, Sherman Hemsley (Il signor Jefferson), John Travolta e Olivia Newton John, Debbie Gibson, David Copperfield e praticamente tutti gli attori del momento. Compreso W.I Yankovich, che aveva fatto quelle spassose parodie dei video e delle canzoni di Michael chiamate “Eat It” e “Fat”…
 
Non so quante volte ho sognato di conoscerlo. So che non l’ho mai rinnegato veramente anche se, con il tempo, diciamo che ho allargato gli orizzonti: nel 1989 arrivò un nuovo mito, quello di Francesco Salvi, che poi – a differenza di Michael, che restò solo nei miei sogni – avrei avuto la possibilità, 18 anni dopo, di conoscere… dieci anni dopo, al termine di un lungo “viaggio musicale” passato attraverso Roxette, Queen, Bryan Adams,  Sting, Springsteen, Bob Geldof, James Taylor, Bennato, Baglioni, De André, la musica medievale, la musica folk irlandese, Lou Reed e Simon & Garfunkel approdai agli U2, in cui trovai un’identità perfetta.
E con la riscoperta di “Ratte & Hum” riuscii anche ad abbattere definitivamente le “tre unità” jacksoniane in base alle quali giudicavo un album. E cioè, le canzoni dovevano essere 10, tutte inedite o tutte vecchie, e una doveva dare il titolo all’album.
 
Dangerous , History e la fine di un mito
Michael, non più mito ma semplice rockstar, continuai a seguirlo. Ricordo la trepidazione con cui aspettai “Dangerous”, il primo album che fece dopo “Bad”, il primo alla cui nascita potetti assistere, e che non deluse le mie aspettative.
 
Il 4 luglio 1992 andai al suo secondo (e credo ultimo) concerto italiano, ancora allo stadio Flaminio. Esperienza mitica e leggendaria. Ma il rimpianto di non aver mai visto il “Bad” tour è rimasto. E, colmo dello scherno, quel concerto che io vidi (o meglio uno della stessa tournee, un po’ più brutto) fu trasmesso anche in televisione…
Fu un momento leggendario, ma non come sarebbe stato nel 1988. Avevo diciassette anni, ed ero già una persona completamente diversa. Fan sì, ma un fan già distaccato, un ammiratore sul piano musicale ma diciamoci la verità: non ci provai nemmeno ad avvicinarmi a lui, non sognai nemmeno di poterlo incontrare, toccare, abbracciare come capitava a qualche "fortunato" della prima fila, che faceva salire sul palco quando cantava She’s out my life. Semplicemente non me ne importava più granché. 
Michael Jackson era ancora il mio cantante preferito, ma non era più un mito. 
Poi ci fu “History”, altro bellissimo disco, metà antologia e metà inedito. Per comprarlo in vinile (era il 1995, il periodo in cui era più difficile riuscire a trovare i vinili, che non erano stati già stati soppiantati dai Cd ma non erano ancora ricercati dai collezionisti) andai e tornai due volte da Roma, perché quando avevo finalmente trovato il negozio che ce l’aveva mi ero reso conto di non avere i soldi (e a quei tempi non avevo ancora il bancomat).
Un disco bellissimo sul piano musicale, con canzoni tra le migliori della sua produzione, anche se molto meno conosciute rispetto a quelle precedenti. Avevo una grande stima dell’autore, del compositore, del cantante. Ma non potevo che guardare ormai con grande distacco al delirio megalomane con cui promosse quei dischi facendo realizzare quella statua gigantesca che lo ritraeva in copertina, quell’ossessivo auto-celebrarsi e auto-definirsi "King of Pop".
Jacko non era più tra noi. Si era già totalmente alienato. La sua personalità fragilissima e introverso era stata definitivamente compromessa dai processi che lo stavano già tromentando. L’alieno che era già nel 1988, nel 1995 era già diventato un caso patologico. Ero fierissimo di quel disco ma sinceramente mi auguravo che non avrebbe più fatto concerti, perché io non avevo nessuna intenzione di tornarlo a vedere.
E qualche anno dopo mi sarei anche augurato che avesse smesso di fare dischi. Perché io ce li avevo tutti, ma non avevo più intenzione di comprarne altri.
Di fatto fu così, con History, musicalmente, finì tutto. “Blood on the dance floor”, due anni dopo, era un episodio trascurabile e di fronte a Invincible provai così orrore da non avere il coraggio di acquistarlo.
Rinnegato
 
Era il periodo di massima svolta esistenziale per me. Il periodo in cui, per cominciare a costruire qualcosa di nuovo, sentivo davvero la necessità di rinnegare e dimenticare tutto ciò aveva caratterizzato la mia adolescenza e la mia giovinezza: atteggiamenti, mentalità, orientamenti politici e orientamenti esistenziali.
La musica è la colonna sonora della vita, e quindi la prima testa a saltare, nella mia nuova vita, non poteva che essere quella di Mike: adesso amavo la musica vera, genuina, fatta di voce e chitarra, o strumenti antichi. Detestavo l’elettronica, avevo rinnegato anche i Queen e tutto il pop anni ’80. Ascoltavo musica folk e medievale, mi interessavo al country, al rock ‘n roll, al blues, al soul, amavo cantautori raffinati come Sting e James Taylor, andavo pazzo per Bob Geldof, scoprivo i Pogues e i Blues Brothers. Avevo preso in odio anche i videoclip, mi piaceva la musica vera, suonata dal vivo, con strumenti veri, senza basi e senza elettronica, senza drum-programming e ai concerti volevo vedere suonare la gente, non assistere ad uno spettacolo fantasmagorico.
Insomma Michael Jackson, con il mio nuovo percorso musicale, non c’entrava più niente. Anzi, era addiritura l’antitesi, era il nemico, era tutto ciò odiavo nella musica.
E anche a livello esistenziale, Michael rappresentava tutto ciò che non volevo più essere. A livello religioso avevo scoperto Francesco d’Assisi e don Milani ed ero diventato un rivoluzionario,amavo i personaggi impegnati politicamente, che prendevano posizione, che lottavano, quindi non lo sopportavo più quel buonismo sdolcinato alla "We are the world".
E io, adesso, volevo essere una persona normale, volevo amare ed essere amato, non confondere più la ricerca della celebrità con il bisogno di affetto. E se anticonformista ero rimasto, sfigato non lo ero più, quindi iniziavo a guardare con compassione i tormenti del dissociato Jackson mentre il mio nuovo mito e modello non poteva che essere Bono Vox.
La riconciliazione
 
La mia riconciliazione musicale con Michael Jackson è avvenuta più o meno quattro anni fa.
Nel Natale del 2005, credo, quando  – a trent’anni – ho comprato il cofanetto The ultimate Michael Jackson che, per la prima volta, raccoglieva tutto il meglio della sua produzione, comprese le produzioni giovanili con i Jackson 5, le collaborazioni e le rarità. Una parte della sua storia musicale che ormai da anni apprezzavo molto più di Thriller o Bad.
C’era anche il dvd di un concerto, e io – per un momento – ho sperato che si trattasse proprio di quella leggendaria tournée del 1988 che io avevo cercato di ricostruire con "incollando" con il videoregistratore, tanti spezzoni. E invece no, si trattava proprio di quel concerto andato in onda in tv, l’unico andato in onda!, e che io avevo – ovviamente – già registrato.
 
Ma quell’acquisto è stato l’atto conclusivo, il mio ultimo omaggio al grande mito della mia adolescenza, ma anche ad un grande uomo di spettacolo e, diciamolo pure, un grande cantante. Che ha fatto un sacco di pacchianate, ma anche tante bellissime canzoni. E che ha inventato un modo nuovo di fare spettacolo, un modo che oggi sento lontano, ma che resta grandioso.
Pedofilo?
 
Se sotto il profilo musicale Michael era morto da oltre dieci anni, su quello umano il mito ha assistito ad un progressivo, tristissimo declino.
 
Eppure se mi chiedete cosa penso delle accuse di pedofilia, dei processi, dello squallore in cui si è lasciato trascinare sempre più inesorabilmente negli ultimi diciotto anni, io non posso difenderlo né accusarlo.
 
Io lo capisco. Chi ha letto la sua autobiografia non poteva stupirsi in questa sua ricerca d’affetto nei bambini.
 
Io non lo so che cos’è un pedofilo. Non lo so. So che è troppo facile gridare al mostro.  E so che non riesco nemmeno a concepire l’idea che un uomo possa godere nel fare del male ad un bambino. Quindi non lo so che cosa sia la pedofilia. Per me resta un orrore e un mistero.
 
Io greco non l’ho studiato, ma a orecchio “pedofilo” mi suona come “amante dei bambini”. In questo senso, sì, Michael Jackson era senza dubbio un pedofilo.
 
Aveva un rapporto morboso con la sua infanzia e, di conseguenza, con quella degli altri. Però non crederò mai che abbia violentato un bambino. Ovvero, che gli abbia usato violenza.
 
Per il resto, da una mente tanto contorta, potrei aspettarmi di tutto. Fino a che punto si può amare in modo “fraterno”, senza implicazioni di carattere sessuale? Fino a che punto un uomo che non ha una normale sessualità può vivere in modo “pulito” il rapporto con un bambino nei confronti del quale ha un grande trasporto affettivo?
 
E allora se mi chiedi se Michael Jackson è andato a letto con dei ragazzini, io ti rispondo senza dubbio di sì. Non dubito che ci sia andato. Ma se mi chiedi cosa è successo sotto le coperte, allora non posso risponderti.
 
Se mi chiedi quanto amore abbia dato a quei ragazzi e quanto male gli abbia involontariamente fatto, allora no posso risponderti.
 
Certo non era una persona normale. Ma non era nemmeno un mostro. Di certo era una persona estremamente fragile. Lo era anche all’apice del successo, quando scrisse la sua autobiografia: Scriveva che anche se era adorato da migliaia di fan e aveva tantissimi amici si sentiva la persona più sola al mondo.
 
Michael Jackson aveva cominciato ad distruggersi da solo. Poi , con quei processi, l’hanno massacrato, hanno finito di distruggerlo.
 
2 Bad
Non ci pensavo da anni, a Michael Jackson. Avevo letto le squallide cronache dei processi con compassione, e con diffidenza e curiosità le recenti notizie di un suo ritorno alla ribalta, e poi del presunto tumore, addirittura della pelle divenuta fosforescente, e poi ancora del nuovo tour, dell’antologia selezionata dai fan, del tour rimandato, del tour che si farà….
avevo anche dimenticato quel dvd, trovato per caso in un negozio in Polonia, lo scorso gennaio: la registrazione di quel sospirato concerto del 1988 nella tappa giapponese. Un concerto sospirato per vent’anni e finalmente in mano… troppo tardi, però, evidentemente. E infatti, quel dvd, ancora non l’ho visto…
 
Una settimana fa esatta, di ritorno dalla Sicilia, sono stato costretto dal ritardo del treno della notte a passare circa due ore alla stazione Termini, in attesa del primo treno disponibile per Terni.
 
Non sapevo come spendere quel tempo, e così ho fatto come ai vecchi tempi: l’ho passato al Ricordi mediastore. Dopo un’accurata e implacabile selezione delle cose inutili da comprarmi tra film e dischi, ho scelto la versione integrale del “Pinocchio” di Comencini, “Giovani Jovanotti” (l’unico album di Lorenzo che non solo non avevo, ma non avevo mai sentito) e – dulcis in fundo – “Bad”, nella versone ‘special edition’ uscita, se non ricordo male, nel 2001.
 
L’ho sempre saputo, che prima o poi mi sarei ri-comprato “Bad” in cd. Tanto più l’edizione speciale che oltre ad avere “Leave me alone” (che c’era già a quei tempi su cd, ma non nel 33 giri) contiene anche due inediti. E visto che il prezzo era sceso ad appena 10 euro, ho deciso che era arrivato il momento, a quasi 23 anni da quel primo acquisto al New Sinfony.
 
L’ho sentito una volta sola, e mi è bastato. Sono canzoni che so ancora a memoria. Però, devo ammetterlo, mi piacciono ancora, anche se non mi va più di ascoltarle. E un pochino, le gambe mie, erano tentate di riprendere il ritmo mentre andava “Smooth Criminal”…
 
Stanotte
Mancava qualche minuto alle una quando mia madre mi ha chiamato al cellulare.
Aveva una voce strana. Una voce da lutto. Mi sono spaventato. “Hai saputo?” mi ha detto. E l’unica certezza, allora, è che non si trattava di un familiare. Ma chi era morto? Un amico o un personaggio pubblico?
“Michael Jackson” mi ha detto. Avevo il computer davanti e sono subito andato sul sito dell’Ansa, che confermava la notizia. Poi su Google news, che ancora lo dava per moribondo, poi su Facebook con i primi commenti.
“Grazie per la notizia” le ho detto.
“Ma io non ti ho chiamato per darti la notizia, perché pensavo lo sapessi. Ti ho chiamato per confortarti, per farti coraggio…”.
 
Sono passati 21 anni da quando Michael Jackson era il mio grande mito. Avevo 13 anni, facevo le medie e avevo ancora paura di dormire con la luce spenta.
Oggi ho 34 anni, vivo da solo, e ho fino troppi peli bianchi in testa e sulla barba.
 
Ma per le mamme, si sa, il tempo non passa mai.
 
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14 commenti su “MICHAEL JACKSON

  1. Novastorm il said:

    … le orme del tuo Passo leggendario, il ‘Moonwalker’, saranno seguite dalla mia memoria… per sempre… e così, non mi perderò…

    Addio, Billie Jean…

    {Grazie per avermi fatto sognare…}

  2. UnderWetBastard il said:

    Che dire, sono commosso dal tuo racconto di vita, abbiamo condiviso lo stesso mito, per me resterà sempre una stella!

  3. NoxPerpetua il said:

    Tu ne hai 33 di anni, io 28 e abbiamo condisivo un periodo quasi identico.

    Ti sei dato agli U2 che io continuo ad odiare, sono passato al metal, ai disturbed… con la pecca di essere ancora troppo legato al pop e quindi non sdegno i vari gruppi e le “stelle” di passaggio… ma sai cosa?

    Nessuno mi rimarrà mai dentro come le note di Give into me, la sensazione che sentivo nel guardare Michael Jackson ballare non l’ho più sentita…. è morta una leggenda e anche se ormai, come te, non mi curavo di quel passato… adesso sento un gran vuoto.

  4. Orqcie il said:

    “Certo a sentire il telegiornale, mai una bella notizia.” dice Lupini “Invece no. Basta leggere fra le

    righe” risponde il maestro.

    “Tra le righe di cosa maestro”.

    “Tra le righe. Non sai cosa vuol dire leggere tra le righe?

    Leggere quello che non è scritto ma che è scritto”

    “Ah si esatto. E te maestro che ci leggi fra le righe?”

    “Tante cose. Ad esempio che Micheal Jackson non è morto.”

    “Ma se lo dicono tutti i giornali” ribatte Lupini sconsolato.

    “Infatti. In modo esplicito. Palese. E allora perchè secondo te ti ho detto di leggere tra le righe?”

    “Ma allora secondo te non è morto?”

    “Secondo me, no, affatto”

    “E perchè avrebbe messo in atto tutta questa messinscena?”

    “Per via dei suoi debiti milionari, 500 milioni di dollari, ad esempio.”

    “Cioè per non pagare più nessuno si fa credere morto? Potrebbe essere

    un’ipotesi. Certo non sarebbe la prima volta.”

    “Infatti”

    “Ho sentito dire che un altro ha

    fatto così. Infatti, ma non solo uno, diversi. Certo 500 milioni di dollari non sono noccioline”

    “E neanche noci, per quello, caro Lupini”.

    “Ma allora non si farà più rivedere?”

    “Se fossi come dici tu. Se fosse come dico io, si farebbe rivedere, ma quando lo guardi non lo

    riconosci.”

    “Già, poi lui con la chirurgia estetica ci andava a nozze.”

    “Parli come fose già morto”

    “Cioè, maestro, non lo dico solo io, lo dicono tutti lo dicono i media”

    “Ma che ne sappiamo noi se è così

    davvero? Ancora si mette in dubbio che Hitler sia morto davvero nel bunker.”

    “Questo è vero l’ho sentito anch’io”

    “Lo vedi? niente è sicuro di quello che è dato per scontato, la storia insegna”.

    “Cosa insegna la storia maestro?”

    “La storia insegna che non bisogna mai fidarsi di nessuno, dei media specialmente.

    Ora mettiamo il caso che effettivamente non sia morto, e

    questo tra parentesi me lo auguro per lui, che succede?”

    “Mah… ho sentito dire che i suoi dischi adesso vanno a ruba. Sì infatti tra i primi venti i suoi sono addirittura 14.”

    “Vedi? Piano piano ci stai arrivando da solo ”

    “Allora quando ha appianato i suoi debiti che fa, torna vivo?”

    “Dipende, va appurato che non sia davvero morto, cioè metti per

    disgrazia sia davvero morto, i soldi dei dischi secondo te a chi vanno?”

    “Non lo so maestro… senti ti volevo chiedere una cosa, ma ora me la sono scordata…”

    “Caro Lupini, mia nonna Isolina diceva sempre che chi si dimentica cosa doveva dire, si vede che non aveva da dire proprio niente…”

  5. soleluna120 il said:

    credo che sia una delle più belle cose che ho letto oggi che riguardano michael…

    buon fine settimana

  6. anonimo il said:

    Ciao! Io ci sono al concerto del 1988, a Torino, avevo 15 anni. indimenticabile! Bellissimi i tuoi ricordi su di lui. Grazie. Laura.

  7. duca1degli1abruzzi il said:

    Grande Michael! Doveva per forza morire così per entrare nel mito come John Lennon, Elvis Presley, Jim Morrison e Freddy Mercury.

  8. Io c’ero, a Roma.. Indimenticabile! Averlo visto ballare da vicino è stata un’esperienza incredibile. Tutto il resto è gossip!

  9. anonimo il said:

    Grazie per il tuo racconto… abbiamo condiviso lo stesso periodo.

    Io ho avuto la fortuna di esserci al concerto del 1988 a Torino, avevo 15 anni. indimenticabile!

    Bellissimi i tuoi ricordi su di lui… sono gli stessi ricordi che ho io

    Questo racconto è una delle più belle cose che ho letto su Jacko…

    Grazie

  10. anonimo il said:

    il tuo racconto è stato fantastico ma nn dimentichero’ mai il nostro king il nostro micheal jackson the king of pop il migliore!!!!

    la mia canzone preferita è anzi… le mie due canzoni preferite sono bad e smooth criminal.Ho fatto anche un blog su msn su di lui è bellisimo!!!

  11. anonimo il said:

    complimenti! ho 35 anni ed ho avuto il tuo stesso spaccato di vita,  non ho mai dimenticato michael, anche se crescevo e i miei gusti musicali mutavano, è sempre stato l’unico a ridarmi il sorriso. Si può cambiare il nostro futuro, ma mai il nostro passato… e lui ne farà parte per sempre.
    Grazie

  12. anonimo il said:

    attenta al blogger novastorm, è una persona subdola e meschina, diffida dalle sue parole.
    un amico

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